Non basta esserci – L’inclusione come sguardo che resta

Cultura come rifugio: il punto di partenza

Nel nostro ultimo articolo abbiamo riflettuto sulla cultura come rifugio: un luogo simbolico e concreto in cui le fragilità trovano spazio, senso e dignità.
Ma esistono anche rifugi più sottili, meno visibili, ma altrettanto profondi: quelli che si costruiscono nelle relazioni autentiche. Luoghi in cui sentirsi accolti non perché si deve, ma perché si vuole.

La relazione come spazio di accessibilità

Alcuni legami nascono proprio così: da un tempo condiviso, da uno sguardo che va oltre, da una risata nata senza sforzo. Relazioni che non si fondano sulla pietà, ma sulla fiducia. In cui ci si sente visti non per ciò che si mostra, ma per ciò che si è. Non è la sola presenza che fa la differenza: è la qualità dello sguardo attento.

Quando le strade si separano

Con il passare del tempo, le vite cambiano, le direzioni si diversificano, si intrecciano con altre e spesso resta solo la convinzione che “esserci stati” sia sufficiente per dire: ho capito.
Ma non basta esserci. Per comprendere davvero serve restare in ascolto, rinnovare lo sguardo, anche a distanza.

La disabilità come realtà in evoluzione

Nella riflessione sull’inclusione delle persone con disabilità c’è un rischio frequente: pensare che siano sempre uguali a sé stesse. In realtà, anche chi vive con una disabilità attraversa tutte le fasi della vita. La persona con disabilità si evolve, ama, sogna e cambia. Cerca autonomia, intimità, riconoscimento. Desidera essere scelta, essere amata non per “buon cuore”, ma per valore autentico.
In questo articolo esploriamo il concetto di rifugio, non solo come luogo fisico ma come relazione che accoglie, nutre e lascia crescere l'individuo nella sua totalità. Un rifugio che non si limita a vedere la fragilità, ma che la riconosce e la celebra, senza pietà, ma con vero affetto e comprensione.
Nel contesto dell'inclusione, troppo spesso ci fermiamo alla superficie, concentrandoci sulle necessità più visibili, senza renderci conto che la vera inclusione richiede uno sguardo che vada oltre: uno sguardo che veda la persona nella sua evoluzione, nei suoi sogni, nei suoi cambiamenti. Così come una relazione non si esaurisce in un solo momento del tempo, anche un'inclusione vera non si limita alla presenza fisica, ma si costruisce sulla consapevolezza e sul continuo ascolto.

Invisibili ma presenti: il paradosso dell’inclusione

Troppe volte le persone con disabilità sono presenti ma non percepite, ascoltate solo nei bisogni, non nei desideri. Vengono incluse nei contesti, ma raramente comprese nelle trasformazioni interiori.
Eppure, se qualcuno si ferma davvero a guardare, può accorgersi di una ricchezza silenziosa: un’energia capace di spostare il punto di vista, di rivelare nuovi significati.

Relazioni accessibili: non per dovere, ma per affetto

Ci sono relazioni che hanno saputo fare questo. Che hanno creato spazi accessibili emotivamente, in cui nessuno si è sentito un peso o un progetto. Luoghi affettivi in cui l’inclusione era naturale, non imposta.
Anche se oggi quelle relazioni sembrano distanti, l’eco rimane. A volte basta poco per riaccenderla: un ricordo, un’immagine, una frase, un ponte.

Ogni persona è più di quello che è stata

Una persona non si esaurisce nella versione che abbiamo conosciuto. C’è sempre qualcosa che non abbiamo visto, una parte che non ha ancora avuto spazio, una luce che si mostra solo se qualcuno ha il coraggio di guardare di nuovo.
L’inclusione vera non è solo presenza passata, ma presenza consapevole, viva. È la volontà di continuare a guardare, anche quando i percorsi si sono separati.

La domanda da tenere viva

Alla fine, la vera domanda non è se ci siamo stati.
La vera domanda è se stiamo ancora guardando. Se abbiamo il coraggio di vedere cosa c’è oggi, non solo cosa c’era ieri.

 

Ilaria Marasco 

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